quella pesantezza che chiamamo equilibrio


Domenica mattina, mattina nebbiosa.
Berretto guanti scarpe da ginnastica, mi ha stancato questo inverno che non vuol finire.
Inizio a camminare svelta, il paese tutto è grigio umido.
Sull'argine non riesco nemmeno a vedere il grande fiume.
Meglio tornare in mezzo alle case, tra le vie, correre a casaccio, testa bassa. 
Rimbombano i passi tra i cartelli che leggo qua e là: VENDESI MIELE. CEDESI ATTIVITA'. TRASLOCHI VOLANTE.

E all'improvviso, strada chiusa, un cancello.
Ma dove sono finita, questa via non la conosco, possibile, vivo qua da tre anni, colpa della nebbia...

Alzo gli occhi, un'iscrizione. QUI FINISCE LA GIUSTIZIA DEGLI UOMINI.
Ma pensa.
Magari qui inizia la giustizia delle donne, mi dico.
Invece, poco più in là, altra insegna: QUI INIZIA LA GIUSTIZIA DI DIO.

Toh. Sono finita al cimitero. Qui no, non c'ero davvero mai stata.

Un cancello di ferro arrugginito divide la terra degli uomini dalla terra degli spiriti.
E io sto a metà, sul confine.
Ma non è qui, nelle zone di confine, che nasce l'energia?
Nasce dove c'è scontro, e dove c'è incontro. Dove si mescolano le direzioni, i pesi, i colori. L'equilibrio e il suo contrario, qualunque esso sia. 
Dove finisce la notte e inizia il giorno - l'aurora, appunto, inquieta energia di confine che porto anche nel nome. 
Segno che devo cercarla, quest'energia.
La cerco nel regno del sogno, e so quanto labili siano le sue frontiere.
Vedo Istanbul, i dervisci, di notte, dormendo.
E di giorno mi ritrovo in regalo un biglietto aereo.
Allora andrò dove il corpo danza alla ricerca dello spirito, dove l'Asia viene a sfiorare l'Europa.
Andrò in Turchia.

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