la rosa scarlatta



Un metodo infallibile per riconoscere chi ha fatto le elementari negli anni ottanta è canticchiargli il valzer dell'orchestra Castellina-Pasi, ossia la celeberrima sigla di Arsenio Lupin. Sorrisi e occhi sbarluccicanti appariranno all'istante.
Et voilà, eccoci, generazione cresciuta a pane, nutella, Bim Bum Bam e dosi massicce di cartoni animati di provenienza nipponica.
Anch'io da bambina ho tifato Mazinga; ho subito il fascino di Capitan Harlock belloedannato; mi sono immedesimata nei drammoni romantici di CandyCandy - la quale è responsabile dell'omonima e pericolosissima sindrome, che porta ragazze di varie età a immolarsi per cause/persone non sempre degne di cotanti sforzi e premure. Ma non divaghiamo.

Il fatto è che sabato sera ho avuto un flash inaspettato, una scena d'un cartone animato poco noto. S'ititolava Il sogno di Maya e raccontava delle traversie d'una ragazzina determinata a far l'attrice. Un favolone in cui pullulavano antagoniste bionde dagli occhi di ghiaccio, uomini misteriosi salvatori, e insegnanti crudeli ai limiti del sadismo. Molto, molto giap.
Tutto ho dimenticato di quella serie, tranne una scena in cui la protagonista in questione fronteggiava un imprevisto nel bel mezzo di uno spettacolo importante prendendo un fiore che teneva tra le mani, un giglio bianco, e mettendolo in bocca.
Rimaneva così, a mordere lo stelo con gli occhi chiusi. Impressionante.
Beh, per la me di svariati lustri fa, sì, impressionante lo fu davvero.

Lo scorso sabato sera mi trovavo nei pressi di Adria, dietro le quinte d'un teatro, pronta a entrare in scena con cinque rose scarlatte tra le mani.
Prima volta con un testo solo mio; prima volta che ho messo in gioco testa e voce e corpo, da sola sul palcoscenico.
Una storia sul tango, con un po' di poesia, preparata in occasione del Festival di Adria organizzato da Porto Tango
Per la prima scena avevo previsto d'arrivare col mio mazzo di rose, poggiarle su un tavolino, accendere una candela, e partire col testo mentre sistemavo i fiori in un vaso bianco.

Pronti, si parte. Luci basse, batticuore, adrenalina. Ci siamo. 
Entro lentamente, i tacchi rossi risuonano sul palcoscenico.
Arrivo al tavolo, e il vaso... Il vaso non c'è, non c'è, ecchecaspita.
Dimenticato chissà dove nel caos pre-spettacolo.

Ecco, è proprio in quel nanosecondo di smarrimento che mi torna in mente lei, Maya.
"E se risolvessi così, mordendo una rosa?". Sarebbe un bislacco coup de théâtre.

Maya era una ragazzina di fantasia. Io sto qua, divisa tra il mondo che vorrei e quello che abito, tra la voglia di creare e la necessità di mangiare.
Sono andata avanti, la mia rosa come uno scettro.

Le rose scarlatte mi hanno sempre portato fortuna.

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