Tempo di guerra, tempo di pace

 "Nonno, mi racconti dei tempi di guerra?"


Era un tormentone, la mia fissa da bambina. Ogni scusa era buona per chiedere a mio nonno Erminio di srotolare i suoi ricordi: che fosse la mattina mentre inzuppava il bussolà nel caffelatte; mentre si dannava a strappare le erbacce che infestavano l'orto; o mentre era concentrato a riparare un paio di sandali in quel bugigattolo impregnato di cuoio e lucido da scarpe che era il suo negozio da ciabattino.


Qualunque cosa stesse facendo, mi guardava col suo sorriso mite e si metteva a pensare. Sceglieva con cura i pezzetti di memoria meno amari, quelli che potevano arrivare alle orecchie di una bambina, e li raccontava con una leggerezza tale  da farmeli sembrare delle favole. 

Era il suo modo tenero di volermi bene, di proteggermi.

Per fortuna, quelle piccole storie le ricordo.


Tormentavo anche mia nonna, comunque.

Le storie di mia nonna non iniziavano con il c'era una volta, ma sempre con: " Sono nata in tempo di guerra... " 

Mia nonna era del 1915, tempo della Prima Guerra mondiale.


La guerra è una bestia che si mangia le persone, le mastica e le risputa, spesso morte, a volte vive, ma mai uguali a prima.

E così la Prima Guerra si prese il mio bisnonno, lo spedì in trincea, e lo restituì alla famiglia segnato nel corpo e nell'anima.

Per "risarcirlo" di tutto quel patire, lo Stato, bontà sua gli concesse....una tabaccheria. 

A cento chilometri da casa. 

Quando si dice, dopo il danno la beffa.


Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo, ed ecco il bis con la Seconda Guerra Mondiale. 

Il regime si prese i ragazzi e li spedì al fronte a fare gli eroi per la patria. Il bisnonno, invalido, fu risparmiato.

Alla mia bisnonna, la guerra rubò, oltra al marito, anche la fede. 

Il regime convinse migliaia di donne povere a cedere l'unico ricordo prezioso del loro matrimonio, la fede nuziale. 

Grande operazione di marketing, non c'è che dire.


E la mia nonna? La guerra le soffiò via la giovinezza, e la semplice festa di nozze che sognava.

Matrimonio dimesso, come imponeva la fatica del "tempo di guerra".


Mi raccontava, mia nonna, dei razionamenti, della fame ospite fissa, delle candele spente per non fare luce ai bombardieri, delle bombe che facevano tremare i muri di casa, mentre lei e le sue sorelle stavano raggomitolate sotto il letto, a recitare Pater Noster e rosari di preghiere. 

Fa' che tutto finisca presta, fa' che mio marito torni sano e salvo, fa' che il tetto non mi crolli in testa...


Il tetto resistette e pure suo marito, per fortuna.

Mio nonno tornò dalla guerra integro nel corpo - ed era gia qualcosa. 

Ma dentro... beh, dentro era un'altra storia. 


Tutto quello che aveva visto e vissuto se lo tenne stretto, un sassolino dentro la scapa di cui non ti puoi liberare. 

Gli altri non lo vedono, il sassolini, ma tu lo senti ad ogni passo. La guerra ti cambia.


Per i miei nonni, l'alternarsi di quei tempi bui e dei tempi di pace era qualcosa da subire con un sospiro rassegnato.

Non decidevano loro, non dipendeva da loro.


Il 25 aprile, per me, non è una semplice data cerchiata in rosso sul calendario. 

È una linea di demarcazione, l'inizio di un'aria nuova, il tempo della pace.

Per i miei nonni, il "tempo di pace" fu il tempo dedicato ai figli, alla ricostruzione dalle macerie. Anni dopo sarebbe arrivata il tempo di partire sfollati a causa dall'alluvione, ma quella, come si dice, è un'altra storia.


E oggi guardo lei, la vecchia sveglia di latta. È stata sulla credenza della mia bisnonna, poi su quella della mia nonna; poi ha svegliato mia mamma e ora troneggia sulla mensola della mia cucina.


Una monumento silenzioso che ha visto le lancette girare su tempi di guerra e tempi di pace.

Questo 25 aprile è per lei, la mia sveglia vintage. 

È per i miei nonni, che le guerre le hanno masticate e digerite a fatica. È per ricordarci lo schifo di quel regime che si è permesso di rubare pezzi della loro vita. 

È la sveglia che non deve più suonare per altri tempi di guerra, ma solo per tempi di pace.




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